La madre mette al mondo, il padre mette nel mondo!

La paternità nasce dall’estraneità, perché la paternità si può pensare, ma non si può vivere sul proprio corpo. Ma è fondamentale che questa estraneità si tramuti in appartenenza, affinché i figli possano crescere come individui completi.

Essere padri è una cosa importantissima, molto più dell’essere madri:

le quali madri, per molti aspetti nascono,

mentre padri si diventa

(Ball, 1968)

Il padre rappresenta il terzo nella relazione madre-figlio, introducendo sia il concetto di mediazione sia di protezione nella crescita dei figli.  Fungono da tramite nei confronti del mondo, della società, di ciò che li aspetta quando varcheranno le mura domestiche per sperimentarsi come individui, partner, amici, compagni, e futuri genitori. In alcuni casi sono l’alternativa alla chiusura, a volte tossica, nello spazio familiare psichico.

Tramite il contatto fisico, la famosa lotta, il gioco dei cuscini, o il braccio di ferro, da bambini, insegnano ai figli a stare nella relazione. Fanno sperimentare il senso del limite, del confine oltre il quale non andare: il senso del limite riporta anche alla capacità di sperimentare l’attesa e la pazienza, doti necessarie per costruire la fiducia nell’altro, e nel futuro. Senza un “no” del padre l’adolescente rischia di scivolare nel pantano del “senza limite”.

A proposito di senso del limite, con il mito di Icaro, Ovidio nelle Metamorfosi, mette in bocca al padre Dedalo queste parole, nel momento in cui padre e figlio, Icaro, stanno per librarsi in volo con le meravigliose ali di cera:
“Vola a mezza altezza, Icaro,
mi raccomando,
in modo che l’umidità non appesantisca le penne se vai troppo in basso,
e il calore del sole non le sciolga
se vai troppo in alto.
Ti avverto, non ti distrarre”.


Il padre può aiutare a volare, incoraggiando i figli, trovando un giusto equilibrio tra opposte polarità, ed insegnare ai figli a rischiare “bene”, soprattutto nel periodo adolescenziale.


I bambini spesso preferiscono il gioco con il padre, che può essere più emozionante ed eccentrico della relazione con la madre. Padre e figlio possono instaurare un legame e una relazione caratterizzata dal conforto e dal supporto, sfatando il mito che ciò possa riguardare solo la relazione con il materno, e che quindi il padre risulti secondario nella cura e accudimento fisica ed emotiva del figlio. Può fornire quella funzione di protezione rispetto al legame di attaccamento con la madre. La socialità che ci caratterizza come esseri umani, che ci permette di adattarci all’ambiente, è assicurata proprio dalla possibilità di usufruire del padre come figura genitoriale di riferimento, ovvero come figura presente nella relazione affettiva.

Per ricostruire come si sviluppi l’idea di paternità nel corso della storia, è importante considerare che la figura del padre è stata condizionata dal ruolo che gli è stato assegnato nelle epoche. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’evoluzione del ruolo paterno, verso una rivalutazione del “fare il padre”. Nell’Occidente si è passati da un padre dall’autorità indiscussa, che tramandava valori e norme, ma poco accessibile all’interazione relazionale con i figli, ad una figura paterna per lo più assente, al punto che si è parlato di crisi e di scomparsa del padre. Più vicino ai giorni d’oggi la figura che riconosciamo è di un padre “ritrovato”, che si pone nella relazione con i figli come genitore affettuoso. Padri che condividono la responsabilità genitoriale, dividendosi equamente l’accudimento quotidiano. Si ha l’impressione che siano sempre più consapevoli del loro ruolo, e della parte che giocano nello sviluppo psicologico e nella vita della prole.

“Essere padri” può accogliere in sé lo sviluppo delle qualità affettive, e di accoglienza intima, che non sono solo l’equipaggiamento femminile e materno, e che secoli di codice maschile hanno in qualche modo soffocato, in una riservatezza inaccessibile.

Nelle stanze di terapia la ricerca del padre ha portato ad esplorare aree recondite della loro storia, ed essenza, entrare in contatto con le proprie fragilità, senza considerarle un limite, o con senso di inadeguatezza, diventavano per il padre, figli e la famiglia, una straordinaria opportunità per entrare in una dimensione umana e autentica di sé, come valore da trasmettere alla prole.

Spesso si è tramandata nei secoli la figura paterna chiusa in un’immagine narcisistica di sé, che ha fatto della forza una difesa, e non una risorsa. Spesso è passato nelle generazioni un bisogno dei figli di scappare dall’autoritarismo paterno, che aveva difficoltà a toccare dolori “indicibili”, come ad esempio quelli di una migrazione che taglia con il passato e con le proprie radici, alla ricerca di un riscatto personale; o dai vincoli morbosi con un femminile: varie esperienze transgenerazionali che “hanno depotenziato i padri, e afflitto i figli”.

Spesso nelle terapie familiari i padri parlano del desiderio di costruire relazioni più intime con i propri figli, si sentono confusi su come esprimere i loro sentimenti, come prendersi cura di loro,  come incoraggiarli ad un’indipendenza, o come entrare in empatia con loro. Un padre che scoppia in lacrime quando parla di suo padre, non esprime mancanza di amore, ma desiderio di contatto fisico ed emotivo. I padri del passato, faticavano ad esprimere le proprie emozioni, la tenerezza e la vulnerabilità, sopportando ferite e dolori in silenzio. Arrivando poi nel mondo confusi su come stabilire una vicinanza emotiva con i propri figli. (Andolfi, M., D’Elia, 2017. A. Alla ricerca del padre in famiglia e in terapia.)

Se da un lato, la sfida fra vecchi e nuovi padri porta ad un cambiamento nel loro ruolo e funzione, dall’altro mette al centro il padre, come persona, “capace di aver cura dell’esserci nel legame” (Sommella, D, 2020. Pezzi di padre. In Terapia Familiare, 124).

Il papà non è solo
l’amico delle capriole sul letto grande,
non è solamente l’albero al quale mi arrampico
come un piccolo orso,
non è soltanto chi tende con me l’aquilone nel cielo.
Il papà è il sorriso discreto che fa finta di niente,
è l’ombra buona della grande quercia,
è la mano sicura che mi conduce nel prato
e oltre la siepe.

 (Musacchio)

Veronica Pasquariello
Psicologa

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